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Con un po’ di ironia, abbiamo così titolato questo articolo per dare notizia di una recente sentenza della Cassazione (la n. 15027 del 21/7/2016) che ha affrontato l’interessante tema della c.d volgarizzazione del marchio, ovvero la perdita di capacità distintiva di un segno dovuta (per lo più) dalla trasformazione di un marchio denominativo in una parola di uso comune[1].
Il caso in questione riguarda il segno “Oscar”, ovvero una denominazione che (forse pochi ne sono a conoscenza) è a tutti gli effetti un marchio registrato dalla Academy of Motor Picture Arts and Sciences (“AMPAS”)[2].
La vicenda ha preso le mosse da una contestazione sollevata da AMPAS nei confronti dell’Associazione Italiana Calciatori, AIC Service srl e Media Projects Srl (collettivamente “AIC”) rispetto all’uso dell’espressione “Oscar del Calcio” e giunta sino in Cassazione.
A fronte delle accuse di violazione di marchio, le convenute si sono difese sostenendo che l’espressione “Oscar del Calcio” dovrebbe evocare semplicemente un concetto di “eccellenza” e che, per questa ragione, la parola “Oscar” è da intendersi ormai utilizzata in senso generico.
A supporto della propria tesi, AIC ha depositato in giudizio prove volte a dimostrare come già nel 1983 la parola “Oscar” risultasse inserita in un comune dizionario di lingua italiana.
Anche per questa ragione, la Corte d’Appello di Venezia, riformando parzialmente la decisione del giudice di primo grado ha quindi dichiarato la decadenza per volgarizzazione del marchio “Oscar” riconoscendo che “mentre negli intenti di chi lo utilizza ancora è presente un paragone con lo storico primo premio Oscar del cinema conferito ad Hollywood sin dal 1929, ciò non avviene più nella mente del meno informato, ma vasto pubblico, essendo ormai trascorso quasi un secolo dalla prima edizione del premio, onde per le attuali generazioni esso può essere considerato un oscar tra tanti altri sebbene più famoso”. [3]
Prima di procedere oltre è però bene chiarire che l’istituto della volgarizzazione non è stato, nel corso degli anni, regolato in maniera univoca.
Più precisamente va detto che prima della riforma della legge marchi avvenuta nel 1992 è prevalsa la tesi “oggettiva” della volgarizzazione, ovvero una tesi basata esclusivamente sull’analisi del linguaggio e, più nello specifico, dell’avvenuto “assorbimento” del termine nel linguaggio comune.
Ciò, a differenza di quanto avvenuto dopo la riforma del 1982 che ha visto prevalere la c.d. teoria soggettiva che impone invece di tener conto, ai fini della decadenza del marchio anche dell’attività/inattività del titolare rispetto al processo di generalizzazione[4].
Con la riforma della legge marchi, avvenuta nel 1982, il legislatore ha definitivamente “sposato” la teoria c.d. “soggettiva” sgomberando il campo dalle precedenti oscillanti interpretazioni.
Per chiarezza va però aggiunto che i giudici hanno ritenuto di dover applicare la teoria oggettiva, ovvero quella prevalentemente applicata e consolidata all’epoca dei fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della riforma del 1982.
Chiarito questo punto, il vero elemento di novità della sentenza è tuttavia rappresentato dal fatto che i giudici di Cassazione sono stati chiamati a stabilire se fosse possibile o meno dichiarare volgarizzato un marchio anche solo in parte, ovvero solo per alcuni prodotti o servizi. In altre parole, e con il rischio di peccare per eccesso di semplificazione, è stato chiesto alla Cassazione di stabilire se un segno possa risultare contestualmente generico e distintivo. La risposta è stata “sì” (a differenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato interamente volgarizzato il marchio “Oscar”).
In particolare, i giudici hanno riconosciuto come il segno “Oscar” da un lato, avesse conservato, limitatamente al settore cinematografico, la portata distintiva del segno per identificare il prestigioso premio assegnato dalla competizione organizzata annualmente da AMPAS e, dall’altro, avesse invece acquisito per settori diversi dalla cinematografia, ovvero quello di “primo premio” di una manifestazione.
Partendo da questo assunto, la Corte di Cassazione ha quindi “salvato” il marchio “Oscar” riconoscendo la perdurante validità per le classi 9, 16 e 41 ma, al contempo, ha precisato che con riguardo a quest’ultima classe, il marchio è valido solo con esclusivo riferimento al settore dell’industria cinematografica. Ne consegue che, per gli altri settori protetti dalla classe 41, il segno “Oscar” può invece essere liberamente utilizzato da chiunque.
[1] Sebbene il fenomeno della volgarizzazione riguardi per lo più i marchi denominativi, la normativa non esclude che anche le altre tipologie di marchi possano decadere per la stessa ragione. Si pensi, per esempio, ai marchi di forma che col tempo possono divenire forme banali e utilizzate per la stessa tipologia di prodotto.
[2] Il marchio è stato registrato in Italia nel 1982 per le classi 9, 16, 41 e, a titolo di marchio comunitario (così chiamato all’epoca dei fatti e oggi indicato come “marchio dell’Unione Europea”), nel 2002 (nella classe 41).
[3] Così si legge nella sentenza della Cassazione a commento della decisione di secondo grado.
[4] A titolo di esempio, per “attività” del titolare che potrebbe potenzialmente comportare la volgarizzazione del marchio, si può immaginare l’uso stesso del lemma/marchio quale parola di uso comune (si pensi, ad esempio, al marchio “biro”, oggi termine comune, ma in passato marchio volto a identificare una certa tipologia di articoli per la scrittura). Il concetto di “inattività” può invece essere riferito al caso in cui il titolare del marchio non abbia reagito rispetto ad un utilizzo del lemma da parte di terzi eventualmente anche in modo generico per identificare una certa tipologia di prodotto (e quindi alimentando il processo di volgarizzazione).