202203.10
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Quando un marchio dell’Unione Europea deve considerarsi debole o forte?

Spesso ci troviamo a valutare la capacità distintiva dei marchi, tenendo in considerazione il carattere debole o forte agli stessi attribuibile ed il conseguente grado di possibile tutela.

Si è recentemente pronunciata su tali aspetti la Corte di Cassazione - con ordinanza n. 39765 del 13 dicembre 2021 – precisando che un marchio Europeo (marchio dell’Unione Europea), dotato di sufficiente capacità distintiva e pertanto valido, debba considerarsi debole se esiste un collegamento logico con il prodotto o servizio contraddistinto anche solo per una parte dell'Unione e per una soltanto delle lingue usate negli Stati membri.

Nella sintesi di seguito riportata andiamo ad esaminare solo alcuni dei vari temi trattati dalla Suprema Corte nella propria decisione, soffermandoci su quelli che hanno portato alla suddetta precisazione e che riteniamo rilevanti nella valutazione e scelta di un segno distintivo destinato a contraddistinguere prodotti e/o servizi di una determinata persona fisica o giuridica.

 Il caso sottoposto alla Cassazione ha visto coinvolte: da un lato, una società agricola, titolare di vari marchi, nazionali, Europei ed internazionali, costituti dal termine "Il Borro" o "Borro” per contraddistinguere “vini” dalla stessa prodotti nella propria tenuta denominata Il Borro, e - dall’altro - una fattoria, che aveva messo in commercio un vino di propria produzione recante il nome "Il borro del diavolo".

La società agricola citava in giudizio la fattoria in particolare per contraffazione e concorrenza sleale.

La convenuta si costituiva, sostenendo che il termine "borro" fosse descrittivo, parola di uso comune, e fosse di conseguenza assente un rischio di confusione tra i due segni. La stessa proponeva anche domanda riconvenzionale per far accertare la nullità di alcuni dei marchi di parte attrice per difetto di novità.

Il Tribunale di Firenze con sentenza del 4.3.2014 rigettava sia le domande di parte attrice sia la domanda riconvenzionale della convenuta.

Il Tribunale aveva ritenuto da un lato che il marchio della società attrice, seppure debole in quanto corrispondente a un nome di uso comune, che identifica infatti una tipologia di conformazione geografica, possedesse comunque una certa capacità distintiva; dall'altro aveva considerato l'aggiunta delle parole "del Diavolo" al termine "borro" come variante significativa che non pregiudicava l'identità del nucleo sostanziale del segno dell'attrice e che si connotava per il riferimento a un torrente situato nelle vicinanze della fattoria convenuta.

Il Tribunale aveva pertanto escluso sia la contraffazione del marchio che la concorrenza confusoria.

La Corte d’appello di Firenze con sentenza del 26.2.2016 confermava la pronuncia del Tribunale, sostenendo il carattere debole del marchio della società appellante e la conseguente minor tutela spettante al titolare a fronte delle condotte di altri imprenditori che, come nella specie, avevano introdotto una variante inclusiva di un riferimento toponomastico preciso, idoneo a scongiurare il rischio di confusione, anche sotto il profilo concorrenziale.

La società agricola ricorreva in Cassazione eccependo vari motivi. La stessa non concordava con i giudici di merito rispetto al carattere comune attribuito al termine "borro", destinato a indicare una particolare conformazione del terreno, non di rado associata al posizionamento di vigneti. La ricorrente evidenziava che per potere giudicare se un marchio sia dotato di carattere forte o debole occorre determinare se esso presenti o meno, per il pubblico di riferimento, un'aderenza concettuale con il prodotto contraddistinto (nel nostro caso con “i vini”). Ad avviso della ricorrente tali aspetti non erano stati verificati.

La Cassazione nel pronunciarsi rispetto alle suddette doglianze ha ripercorso i principi dalla stessa adottati relativi alla capacità distintiva di un marchio, riconosciuta laddove sia presente un distacco concettuale, più o meno accentuato, fra il segno e il prodotto o servizio a cui lo stesso si riferisce.

È stato ricordato che la qualificazione di marchio debole o forte è correlata al collegamento logico tra il segno ed il prodotto/servizio contraddistinto; se tale collegamento logico è intenso, si tratterà di marchio debole, se il collegamento logico è sempre più evanescente, si tratterà di marchio sempre più forte.

La tutela conseguente accordata al marchio varia a seconda che lo stesso sia qualificabile come “forte” (costituito da elementi fantasiosi, non descrittivo rispetto ai prodotti/servizi di interesse) o "debole" (costituito da un elemento avente una evidente aderenza concettuale rispetto al bene contraddistinto).

Per il marchio debole anche lievi modifiche o aggiunte sono ritenute sufficienti ad escludere la confondibilità.

Per il marchio forte invece si ritengono illegittime tutte le variazioni e modifiche, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del "cuore" del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandolo in modo individualizzante.

 Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che le argomentazioni svolte dalla Corte d’appello avessero accertato l’esistenza di un collegamento logico, seppure non diretto, tra la parola ed il prodotto, dimostrando come il termine “borro” venga non raramente associato al posizionamento di vigne ed inoltre costituisca parte di molte indicazioni toponomastiche di poderi, tenute agricole e borghi che in qualche modo richiamano tale tipologia di conformazione del terreno e, quindi, i prodotti degli stessi.

Conseguentemente, posto il carattere debole del marchio dell'attrice, la Cassazione ha confermato quanto già nei precedenti gradi di giudizio, ossia l’esclusione della contraffazione, alla luce della variante “Il borro del diavolo” utilizzata dal titolare della fattoria per i propri vini.

Inoltre la società agricola eccepiva che, avendo la questione insorta ad oggetto la contraffazione di un marchio Europeo, il rischio confusorio avrebbe dovuto essere verificato con riferimento a ogni Paese dell'Unione. La debolezza del marchio in Italia non varrebbe infatti per gli altri Paesi dell'Unione, dove la parola non è invece comunemente conosciuta.

La Corte di Cassazione, oltre ad avere ritenuto il suddetto motivo inammissibile in quanto non era stato sottoposto dalla ricorrente al contraddittorio nel giudizio di merito, nell’esaminare tale doglianza ha ricordato la giurisprudenza Europea in tema di marchi dell’UE, che prevede che la registrazione sia esclusa anche se la causa di impedimento sussiste solo per una parte dell'Unione. Conseguentemente un segno privo di capacità distintiva anche solo rispetto ad una sola delle lingue usate negli Stati membri risulta inidoneo alla registrazione come marchio europeo (Trib. primo grado CE 27.2.2002, causa T-219/00; Trib.UE 7 sezione, 12.9.2012).

Analogamente, la Suprema Corte ha statuito che i medesimi principi vadano trasposti per la valutazione di debolezza di un segno che sia non privo di una qualche capacità distintiva in un Paese dell'Unione e del rischio di confusione per il pubblico.

La Corte ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto: "In tema di segni distintivi, il marchio Europeo, pur valido perché munito di una sufficiente capacità distintiva, deve considerarsi debole se esiste un collegamento logico con il prodotto o servizio contraddistinto anche solo per una parte dell'Unione e per una soltanto delle lingue usate negli Stati membri" che occorre pertanto considerare quando si intende proteggere un segno tramite un marchio Europeo (marchio dell’UE).

I nostri consulenti sono a disposizione per condurre le valutazioni opportune per la scelta di un segno distintivo, tenendo in considerazione le tematiche sopra affrontate e le implicazioni che ne derivano nella protezione e tutela.